Qui di seguito l’appassionante descrizione di ciò che accade sul volo AZ602 del 21 aprile 1959 decollato da Milano Malpensa per Boston alle ore 20.42 GMT. L’equipaggio era composto dal comandante Corrado Schreiber, dal primo ufficiale Giuseppe Spina, dai terzi piloti Dionisio Di Cicco e Adalberto Pellegrino (quest’ultimo con la mansione di navigatore), dai motoristi Giorgio Castiglioni ed Elio Poletti, dal radiotelegrafista Franco Brancaccio e dagli assistenti di volo Pier Paolo Crivelli, Acqua e Prezzolini.
54° 32′ 15″ nord, 13° 07′ 00″ ovest
148 miglia nautiche a occidente del radiofaro di Shannon di cui si percepiva ancora una debole e oscillante indicazione di QDR.[1] «Il punto… presto, il punto!» mi aveva chiesto il comandante Schreiber che con il primo ufficiale Beppe Spina continuava a stare aggrappato ai comandi tentando di contrastare le impennate frenetiche e bizzose di I-DUVA.
Elio Poletti, il motorista di volo, aveva provato a tirare per una decina di volte il pulsante della messa in bandiera, ma l’elica del motore numero due – quello più interno della semiala sinistra – non soltanto restava insensibile allo stimolo, ma stava accentuando la sua rotazione in supergiri.
L’aereo, il Douglas DC-7C della linea AZ 602 Roma-Milano-Boston-New York, sembrava oramai fuori controllo: malgrado i cilindri del motore grippati e il flusso del carburante interrotto quella stramaledetta elica girava all’impazzata, sempre più velocemente, sollecitando l’intera struttura dell’aeroplano ai limiti di rottura.
54° 32′ 15″ nord, 13° 07′ 00″ ovest
Lo avevo fatto e rifatto quel punto. In fretta, col righello che tenevo schiacciato contro la carta di navigazione e la matita che sobbalzava a ogni scossone dell’aereo; mi ero mosso lungo la parabola del consolan di Stavanger, che decrittavo in cuffia, fino all’incrocio con il vettore vero, indicazione magnetica meno variazione, che si ricavava dalla freccia capovolta ancora sintonizzata sull’ADF[2] di Shannon sorvolato una quarantina di minuti prima. Ne erano saltati fuori due segmenti sufficientemente ortogonali tra loro che si incrociavano quasi in coincidenza con il fixstimato già preparato sulla carta in base alle previsioni fatte con bussola e orologio.
54° 32′ 15″ nord, 13° 07′ 00″ ovest
«Ecco comandante… ecco… guardi qui» e tendevo la carta tremolante da sopra le spalle di Poletti protendendola quanto più avanti potevo all’incontro con l’unica falce di sguardo possibile dal posto di pilotaggio «… Qui, questo cerchietto rosso… circa 150 miglia dalla verticale di Shannon».
L’aeroplano si impennava mugghiando, sembrava storcersi attorno a ognuno dei suoi assi dentro un susseguirsi di gemiti metallici, mentre Brancaccio – il radiotelegrafista – schiacciava il microfono per irradiare all’aria un altro implorante May day.[3]
«… Cento quarantotto miglia dalla stazione… Prua di rientro 108, uno-zero-otto»
Dal motore tormentato dai supergiri cominciava a uscire metallo incandescente che illuminava lividamente l’ala e scavava un alone di luce verso il basso, dentro il buio della notte e del mare.
L’inversione di rotta – quei centottanta gradi per rimetterci in direzione della costa – sembravano durare un’eternità.
Accanto a me, di nuovo chinato sul tavolino del navigatore, si muovevano figure che – assorbito come ero dalla verifica della posizione – non riuscivo a mettere bene a fuoco: agitarsi di braccia, suggerimenti strozzati, impotenza. Richiamati dalla situazione si erano affollati in cabina anche gli altri dell’equipaggio che stavano facendo il loro turno di riposo; dalla porta, con sempre maggiore frequenza, occhieggiava Crivelli – il capo steward – sollecitato dai passeggeri spauriti.
Il DC-7 si muoveva arrancando nel cielo, succube della sua elica fuori da ogni controllo.
Nella serie di fotogrammi che mi si stampano nella memoria c’è ora un susseguirsi di azioni e di gesti che paiono staccati tra loro, privi di consequenzialità, quasi senza senso.
Le persone che mi fluttuano attorno – frutto di immaginazione impaurita? – hanno perso ogni corporeità e alla luce verdognola degli strumenti sembrano sagome indistinte dai movimenti legnosi come manichini.
Il comandante si deterge il sudore mentre aiutandosi con le ginocchia tenta di tenere ferma in qualche modo la cloche; il secondo motorista, che è arrivato in cabina dal ventre dell’aereo dove stava riposando, è appoggiato sulle spalle del collega e si allungava per provare anche lui inutilmente la manovra della messa in bandiera; un paio di piloti che stavano viaggiando come “fuori servizio” sono entrati nella carlinga e, appiattiti contro la rastrelliera degli apparati radio, si guardano attorno con occhi dilatati e le mani che si accartocciano una dentro l’altra.
Manteniamo stabilmente in prua la lancetta del radiofaro di Shannon indicante la direzione del campo per l’atterraggio di emergenza; speriamo solamente di arrivarci. Per verificarne la distanza è adesso sufficiente una rilevazione del consol, ortogonale alla rotta; meno di un minuto, e poi: «Centotrentasei miglia dalla stazione!» – grido, senza averne avuto richiesta, verso i posti di guida.
Scendiamo di quota; in questo momento la pressurizzazione è ridotta al minimo, ma il peso dell’aeroplano è ancora di molto superiore a quello massimo consentito per l’atterraggio; neanche pensare però allo scarico rapido del carburante: se aprissimo le manichette che consentono lo svuotamento dei serbatoi – con quella cascata di metallo rovente e di scintille infuocate che fascia l’intera semiala sinistra – ci trasformeremmo istantaneamente in una meteora fiammeggiante
Dobbiamo andare avanti così, ricolmi di benzina avio, con i pesi e il centraggio dell’aeromobile sempre troppo lontani dall’inviluppo operativo che ci garantisce adeguati margini di sicurezza mentre il motore incontrollabile continua ad alimentare l’overspeed: un rischio obbligato che incolla le mani dei piloti al volantino di guida e tiene calamitati i loro sensi alle indicazioni e ai numeri che si susseguono sul pannello degli strumenti.
Schreiber lancia sempre più spesso occhiate all’esterno, in direzione della semiala avvolta da una nube incandescente; poi aziona a fondo i comandi imponendo all’I-DUVA una brusca cabrata con la pallina dello sbandometro a fondo corsa.
Il fragore che ci ha sin lì martoriati cessa istantaneamente; anche gli scuotimenti e le impennate si acquietano di colpo lasciandoci incerti e pieni di nuove paure.
È il comandante a informarci con voce quasi normale: «Si è staccata l’elica».
Qualcuno suggerisce di reinserire l’autopilota.
Con l’aeroplano ridiventato manovrabile arriviamo rapidamente nella dirittura finale della pista 05 di Shannon che ci conforta da lontano con tutte le luci della sua catenaria[4] accese; e l’atterraggio, per quel che ricordo, fu il più bello a cui abbia mai assistito.
In aerostazione non ci volevano credere; in tutti gli altri casi verificatisi sino ad allora di supergiri dell’elica, l’aeroplano era finito danneggiato irreparabilmente e – talvolta – era addirittura esploso in volo. Schreiber fu così costretto a raccontare più volte l’accaduto ai funzionari della locale aviazione civile mentre io, come navigatore di primo pelo, venivo ricompensato per il lavoro svolto a bordo, con l’incarico di scegliere la marca dello champagne per il brindisi dell’equipaggio.
Il giorno seguente arrivò da Roma un altro aeroplano che imbarcò i nostri assistenti di volo e i passeggeri per il proseguimento della linea fino a New York. Noi restammo a gironzolare nel vicino paese di Limerick fin tanto che l’ingegner ErnestoEula, della direzione del materiale, con il gruppo dei tecnici che lo avevano accompagnato dalla base di armamento, non riuscì a “predisporre” l’I-DUVA per il rientro a tre motori in ferry-flight.[5] Si trattò di un lavoro artigianale, impensabile ai nostri giorni, che consistette nel limare sul posto una pala del motore numero uno – quello esterno sinistro – che era stata lesionata dai frammenti metallici dell’adiacente, andata a bagno nell’Atlantico, e poi nel legare strettamente – con catene comperate in un negozio di ferramenta locale – la capote sconnessa del motore non funzionante in modo che non si disfacesse durante il viaggio di rientro.
Ed è in questo modo – ve lo giuro – che tornammo in Italia.
Adalberto Pellegrino
Per questo avvenimento, con D.P.del 24 gennaio 1964, fu concessa al comandante Corrado Schreiber la medaglia d’argento al valore aeronautico con la seguente motivazione: Comandante di aereo in servizio di linea, in volo sull’Atlantico, al verificarsi di una grave e pericolosa avaria ad un gruppo motopropulsore, riusciti vani gli interventi di emergenza previsti dalle norme operative ideava ed attuava di propria iniziativa una serie di manovre che consentivano di superare felicemente la difficile situazione e di portare a salvamento il velivolo e il suo carico di vite umane. Il suo comportamento di pilota espertissimo, il suo alto senso di responsabilità come comandante, la sua fredda determinazione nel tradurre in atto il piano di emergenza da lui brillantemente ideato, riscuotevano pubblici riconoscimenti in Italia ed all’estero contribuendo, così, al maggiore prestigio dell’Aviazione italiana – Atlantico, 23 aprile 1959.
Questo e altri racconti di vita vissuta a bordo degli aerei Alitalia sono narrati dal comandante Adalberto Pellegrino nel suo libro Quelli della stanza uno – I primi cinquant’anni di Alitalia, in vendita in versione ebook a €6,99 presso la nostra casa editrice Cartabianca Publishing. Se questa storia vi è piaciuta, dateci una mano a “far volare” la nostra collana di aviazione!
[1]QDR – Espressione del codice aeronautico “Q” che definisce il rilevamento magnetico di un aeroplano in volo di allontanamento da una determinata stazione radioelettrica.
[2]ADF (Automatic Direction Finder) – Conosciuto anche come “radiocompass”, o radiobussola, è lo strumento di bordo che indica automaticamente la direzione di arrivo di un segnale radio.
[3]May day– Segnale preliminare di soccorso per imporre il silenzio radio a tutte le stazioni indirizzando nel contempo il messaggio a tutte le possibili stazioni in ascolto. Il MAY DAY (analogamente all’SOS di uso marittimo) indica emergenza e viene usato per situazioni di estremo pericolo. In caso di sola urgenza, invece, il messaggio radio in fonia deve essere preceduto dalla ripetizione della formula PAN, PAN.
[4]Catenaria – Sentiero luminoso di avvicinamento a una pista di volo. Sequenza di luci unidirezionali e, frequentemente, di tipo tracciante ad alta intensità che precede la soglia pista consentendone una migliore individuazione da parte del pilota.
[5]Ferry-flight– Volo di posizionamento o di trasferimento tecnico (non commerciale) di un aeromobile che rientra alla base generalmente dopo un’avaria con a bordo il solo equipaggio di condotta (volo officina).
Douglas DC-7C I-DUVA
Consegna: 8 ottobre 1957
Dismissione: 25 marzo 1966
Servizio in Alitalia: 8 anni, 5 mesi, 17 giorni
Numero di costruzione / progressivo: 45228 / 879
Immatricolazione RAN: 4185
Certificato di navigabilità: 5658
Motori: 4 x Wright TC18EA
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