Un testo originariamente pubblicato sulle pagine della rivista “Volare”, scritto da uno dei più celebri comandanti del passato di Alitalia: Corrado Schreiber.
Sui gradini di accesso dell’Hotel Do Atlantico (una costruzione a un piano tutto di legno) all’Isola del Sale, appresi da un pilota appena giunto da Roma che l’Alitalia aveva firmato il contratto per l’acquisto dei nuovi Douglas DC-6B. La consegna dei velivoli era prevista in un paio d’anni, un tempo lunghissimo per la nostra impaziente giovinezza.
Con l’entrata in servizio del nuovo quadrimotore si offriva finalmente a noi piloti la possibilità di fare esperienza su un aeroplano moderno. Il DC-6B era pressurizzato e poteva volare quote relativamente alte. Il suo efficiente sistema antighiaccio era del tipo ad aria calda, ottenuta con bruciatori di benzina Janitrol, uno per ogni semiala, mentre un terzo, posto centralmente nel vano accessori, riscaldava i bordi di attacco dei piani fissi di coda e provvedeva alla climatizzazione della cabina. I motori erano quattro Pratt & Whitney Double Wasp R 2800 CB16, ciascuno dei quali erogava una potenza di 2.500 cavalli al decollo con iniezione di acqua e metanolo e 1.900 cavalli al regime massimo di crociera.
L’inizio del corso per la transizione sulla nuova macchina giunse più velocemente di quanto pensassi: “scesi” dal DC-4 e il giorno successivo ero già in aula per la prima lezione del corso tecnico per il DC-6B. Un mese più tardi iniziavo il corso in volo.
Purtroppo, allora, il simulatore non esisteva. Dico purtroppo non per lamentare il maggior impegno sull’aeroplano e tantomeno per il maggior numero di ore di volo necessarie all’addestramento, bensì con il rammarico per come meglio avrei potuto conoscere il nuovo velivolo. Ci sono voluti anni di esperienza per dimostrare la straordinaria efficacia del simulatore di volo sia dal punto di vista addestrativo sia per il controllo periodico dei piloti. Con il simulatore, diversamente dall’aereo, possono infatti essere riprodotte tutte le possibili condizioni di volo e in particolare le emergenze.
Il corso in volo sul DC-6B prevedeva l’abilitazione completa anche per noi primi ufficiali. Prima di allora l’addestramento dei copiloti non contemplava l’effettuazione di importanti procedure come quelle relative alle “piantate” di motore, e agli avvicinamenti, riattaccate e atterraggi con tre motori funzionanti su quattro. Con l’avvento del nuovo velivolo l’addestramento impartito ai copiloti diventava praticamente uguale a quello dei comandanti; una differenza, se così si può definire, poteva eventualmente consistere nel diverso grado di “finezza” che si chie- deva agli uni rispetto agli altri.
Il nostro istruttore era americano ed era stato inviato dalla Douglas. Si chiamava Bill Carr. Poiché tra i nostri pochissimi capivano il suo inglese, mi fu richiesto di fare da interprete a bordo ed ebbi in questo modo l’opportunità di partecipare come “osservatore” a moltissimi voli.
Il giorno successivo a quello dell’abilitazione mi imbarcai sulla linea Roma-Atene-Beirut e ritorno, per riprendere tre giorni dopo il vecchio “cammino” per Lisbona-Isola del Sale (dove tutto era rimasto uguale, compresi la sosta e il cambio degli equipaggi), proseguendo per Recife (che sostituiva lo scalo di Natal) e Rio de Janeiro. Il solito equipaggio di stanza a Rio assicurava la prosecuzione del volo per San Paolo-Montevideo-Buenos Aires. Un altro equipaggio in sosta all’Isola del Sale proseguiva invece per Caracas con il successivo aereo in arrivo da Roma. Per garantire la possibilità di raggiungere il lontano aeroporto alternato a quello dell’Isola del Sale, il velivolo di rientro da Caracas doveva compiere un rifornimento completo presso lo scalo di Trinidad, che era il più a Est tra tutti. Qui di norma regnava un clima tropicale caldissimo aggravato dalla quasi totale assenza di ventilazione. Il decollo avveniva nell’ora più calda e quasi sempre il velivolo era in condizioni di peso massimo (48.500 chilogrammi con un carico massimo pagante di poco più di 11.000).
La velocità di rotazione veniva raggiunta soltanto alla fine della pista, nonostante l’iniezione di acqua e metanolo che consentiva, limitatamente alla manovra di decollo, di disporre di maggior potenza grazie al maggior flusso di carburante nei cilindri (dovuto all’abbassamento della temperatura conseguente all’evaporazione dell’acqua). Ricordo che in alcuni decolli sfiorammo le cime delle palme a ridosso della spiaggia. Ancora oggi mi chiedo se su quei decolli da cardiopalma influisse di più il metodo di calcolo dei pesi ancora primitivo oppure fosse la nostra immaginazione a mostrarci le cime degli alberi più prossime di quanto non fossero.
In Atlantico il sistema principale per il controllo della navigazione era quello astronomico. Alle quote di volo del DC-6B, più elevate rispetto a quelle del DC-4, il cielo era più frequentemente sgombro da nubi ed era quindi improbabile rimanere a lungo senza potere effettuare il punto astronomico.
Il sestante, di tipo periscopico, era dotato di orizzonte artificiale elettrico, un passo in avanti rispetto al vecchio sestante a bolla e alla cupola trasparente del DC-4. Anche se ancora presente in aeroplani pressurizzati come il DC-6A o il Constellation, la cupola era stata eliminata dai velivoli dopo che alcune di esse erano state risucchiate dalla depressione esterna.
Per spaventare i nuovi membri degli equipaggi era stata inventata la storia che insieme alla cupola fossero stati risucchiati fuori anche il navigatore e con esso il sestante; evento, questo, mai verificatosi ma teoricamente non del tutto impossibile.
I tempi di volo si erano notevolmente ridotti rispetto a quelli dell’epoca del DC-4. La velocità massima di crociera del DC-6B era di circa 270 nodi (per l’esattezza 274,5; 500 chilometri all’ora) ma consideravamo 220 nodi come media pratica operativa sul lungo raggio.
Le tecniche di volo miglioravano di anno in anno, contemporaneamente a quelle dell’assistenza al volo. Dai colleghi della LAI-Linee Aeree Italiane, che operavano sul Nord Atlantico, apprendevamo delle grandi innovazioni che avvenivano nel campo dell’evoluzione operativa dell’aviazione civile. Pur di fronte alla crescente modernizzazione, le operazioni nel Sud Atlantico mantenevano intatta la loro attrazione, che Antoine de Saint-Exupéry aveva colto nei suoi romanzi Volo di notte e Corriere del Sud e ci si sentiva un po’ emuli dei grandi trasvolatori atlantici italiani, Del Prete, Ferrarin, Locatelli, Balbo, di cui avevamo avidamente letto le imprese da ragazzi.
Le rotte del Sud esercitavano un forte fascino per l’ambiente naturale in cui si volava. Non era raro, per esempio, imbattersi negli urubu, uccellacci simili ai corvi, diffusi un po’ dovunque in Sud America e che rappresentavano un problema per gli aeroplani in volo a bassa quota. Cito al proposito due “scontri”, uno dei quali accadde mentre eravamo in avvicinamento all’aeroporto di Rio-Galeao. Quella volta – ero ancora primo ufficiale – un motore prese a “starnutire” al punto che per molti minuti rimanemmo indecisi se escluderlo. Dopo l’atterraggio, durante le prove al propulsore, vi fu una grande discussione tra il motorista di volo e quello di terra. “Miscela ricca!” affermava il primo. “Non arriva benzina!” sentenziava il secondo. Dopo tanto discutere fra “povera” e “ricca” si decisero a smontare il carburatore a quattro corpi e vi trovarono un grosso becco e due zampe. La presa d’aria del motore aveva ingerito un urubu intero, le cui piume vennero rinvenute in ognuno dei cilindri. La seconda volta che entrai in collisione con uno di questi uccelli volavo da comandante. Il volatile si schiantò sul parabrezza con un botto. Per fortuna il vetro del DC-6B era riscaldato e perciò, essendo più elastico, era anche più resistente alla frantumazione. Un identico impatto avvenuto tempo prima con il DC-4 aveva spaccato il parabrezza della cabina di pilotaggio creando una situazione di emergenza.
Come primo ufficiale del comandante Orlandini feci in tempo a effettuare con il DC-6B un volo speciale per Montreal, zona a noi quasi sconosciuta, abituati come eravamo al romantico Sud. Giungemmo a destinazione che stava imperversando un uragano, per intenderci uno di quelli che vengono battezzati con un nome femminile; ma anche quella volta, nonostante le peggiori premesse, ce la cavammo al meglio. La mia attività sul DC-6B fu interrotta dopo circa un anno, perché fui avviato al corso comando sul nuovo bimotore Convair 340 impiegato sulle linee europee. Al DC-6B ritornai dopo un paio d’anni come comandante.
La rete della Compagnia si era nel frattempo sviluppata: alle linee per il Centro e Sud Atlantico si erano aggiunte le rotte africane per Khartum-Nairobi-Salisbury-Johannesburg. La linea per Mogadiscio toccava Aden e Nairobi, e vennero estese anche le linee per il Vicino e il Medio Oriente, cui si aggiunse la tratta per l’India. Queste rotte, che toccavano Paesi tanto lontani e diversi, esercitavano un notevole fascino esotico. Ricordo, per esempio, che l’aerostazione di Johannesburg aveva un gazebo profumato di fiori e di aria africana, al di là del quale un portico offriva allora la visione di una vegetazione verdissima e di un cielo turchino.
Nei decolli mattutini da Nairobi per Johannesburg il Kilimangiaro si defilava di lato, ma quando si rientrava, con il buio, il monte rappresentava un importante ostacolo. Bisognava essere ben certi degli allineamenti prima di scendere di quota. Per i rilievi dell’ultimo punto astronomico, sollevavo i collaboratori dalla responsabilità diretta effettuando personalmente i calcoli, dopo di che, rassicurato dalla matematica dell’universo, potevo scendere di quota essendo ormai in grado di discriminare le emissioni del radiofaro e, più avanti, quelle del goniometro VHF.
Fui anche assegnato per un periodo di circa due mesi alla base di Rio de Janeiro per condurre la linea sulla tratta fino a Buenos Aires. Vi capitai nell’epoca del passaggio stagionale e non ho mai conosciuto un tempo così balordo come quello dovuto al “fronte intertropicale”. Un giorno due aeroplani partiti da Buenos Aires prima del nostro dovettero rientrare all’aeroporto di partenza con seri problemi strutturali causati dalla grandine. Più fortunatamente quel giorno io riuscii ad arrivare a San Paolo senza danni dopo aver volato sul mare a 50 miglia a est parallelamente alla costa ed essere salito fino a 24.000 piedi, la massima quota operativa per quella macchina (che di norma volava tra i 12.000 e i 16.000 piedi). Nell’epoca dei jet, oggi tutto ciò può fare sorridere: allora certamente no.
Del periodo trascorso ai comandi del DC-4 e del DC-6B conservo un ricordo indelebile sia dal punto di vista professionale, sia da quello umano. Si andava allora letteralmente alla scoperta di Paesi nuovi e affascinanti come il Brasile, non ancora toccati dal turismo di massa, per non parlare dell’Isola del Sale, dove l’isolamento nell’Oceano, di infinita bellezza, valorizzava il significato di ogni cosa, cementando i rapporti umani e l’amicizia tra gli equipaggi e il personale tecnico di terra. Il volo, che si svolgeva a quote relativamente basse, richiedeva spesso controlli a vista che facevano apprezzare i particolari del terreno, “a portata di mano”. Da Recife a Rio, per esempio, sorvolavamo la varia umanità di luoghi pittoreschi come Maceio, Aracajù, Salvador, Cannavieras, Vitoria, Campos, Macaé, per citarne solo alcuni. Se avessimo volato con gli attuali sistemi inerziali, queste località sarebbero state trasformate, da luoghi geografici, nei punti 2, 3, 4, 5, 6 dell’Inertial Navigation System e noi non ci saremmo preoccupati di guardare fuori dai finestrini. Una notte, mentre sorvolavamo quella regione, notai al suolo uno strano effetto ottico, simile allo scintillìo prodotto da migliaia di acciarini. Era il 24 giugno, la festa di San Giovanni, e i “Brasileros”, come da noi in Liguria, festeggiavano la ricorrenza con falò, razzi e fuochi d’artificio. Sui quadrigetti DC-8 e B747 non avrei più potuto vivere il volo partecipandovi in modo così diretto e “umano”.
Nel 1957 maturò nel trasporto aereo italiano un nuovo evento: la fusione tra Alitalia e LAI, mentre l’istituzione della tariffa turistica apriva nuovi orizzonti all’aviazione civile. Giunse in quell’epoca anche una nuova macchina, il quadrimotore Douglas DC-7C, destinato a operare sul Nord Atlantico in sostituzione dei DC-6 della LAI. Il peso massimo al decollo del DC-7C era di 64.200 chilogrammi, mentre la velocità massima di crociera arrivava a 315 nodi (585 chilometri all’ora). I motori erano quattro turbocompound Curtiss Wright da 3.350 cavalli, che diventavano 3.500 grazie a tre turbine collegate ai collettori di scarico di ciascun motore. Con questa formula il motore a pistoni aveva raggiunto il massimo delle sue possibilità, regredendo tuttavia in termini di affidabilità. Infatti i fermi di motore in volo con il DC-7C furono decisamente più elevati rispetto a quelli del DC-6B. Personalmente, su 4.500 ore di volo con il DC-6B registrai una sola avaria ai propulsori, mentre su 1.500 ore volate con il DC-7C dovetti ricorrere all’emergenza per quattro volte. Anche se potrà apparire un controsenso, fu proprio il livello di efficacia raggiunto nell’esperire le procedure di emergenza a confermare il grado di sicurezza delle operazioni di volo e l’elevata preparazione degli equipaggi nella loro applicazione. Va altresì detto che quando il DC-7C fu destinato a impieghi di trasporto nei quali venivano richiesti regimi operativi meno spinti, l’aeroplano, o meglio i suoi propulsori, dimostrarono un’efficienza superiore.
A questo punto, però – era il 1960 – in Alitalia giunse il primo quadrigetto Douglas DC-8. L’aereo di linea a pistoni era condannato a un inesorabile tramonto mentre il sipario si alzava per un nuovo protagonista del trasporto aereo: l’aviogetto.
Corrado Schreiber
Pubblicato originariamente sul mensile aeronautico Volare
Douglas DC-6B
Equipaggio: 4
Passeggeri: 63
Motori: 4 x Pratt & Whitney R-2800-CB17 Double Wasp da 2500 CV
Velocità massima: 507 km/h
Autonomia: 4385 km
Peso a vuoto: 25.110 kg
Apertura alare: 35,81 m
Lunghezza: 32,18 m
Consegna primo DC-6 ad Alitalia: 16 novembre 1953
Dismissione ultimo DC-6 da Alitalia: 1 maggio 1970
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!