Un testo storico, originariamente pubblicato sulla rivista “Volare”, scritto da uno dei più celebri comandanti della “vecchia guardia” di Alitalia: Corrado Schreiber.
Quando, nel gennaio del 1955, rientrai a Ciampino da Rio de Janeiro dove avevo prestato servizio come primo ufficiale a bordo del quadrimotore DC-6B operante sulle tratte Rio de Janeiro- San Paolo-Montevideo-Buenos Aires e viceversa, trovai la comunicazione che il mattino seguente il mio arrivo avrei dovuto iniziare il corso per un nuovo velivolo: il bimotore Convair 340, che l’Alitalia aveva acquistato in quattro esemplari per i collegamenti con l’Europa e il Nord Africa.
Per i piloti, comunque, l’arrivo dei nuovi aerei rappresentava una notevole possibilità di carriera dal momento che l’istituzione di nuove linee avrebbe anche comportato la formazione di nuovi comandanti.
Ai piloti avviati al comando veniva offerto per la prima volta un addestramento condotto in forma veramente moderna, tant’è che, a parte la dovizia di mezzi e supporti addestrativi d’avanguardia di cui oggi dispone il centro addestramento dell’Alitalia, la procedura per l’assegnazione delle funzioni di comando è rimasta immutata nei principi generali. Anche allora, infatti, un corso tecnico-operativo sulla macchina precedeva un eventuale periodo di impiego iniziale in linea come copilota, ed era seguito da altri periodi di istruzione durante i quali il candidato sedeva “a sinistra”, cioè al posto di pilotaggio che negli aerei compete al comandante.
L’addestramento avveniva sotto il controllo di diversi istruttori, in modo da poter contare su una pluralità di giudizi. Inoltre l’assegnazione del comando avveniva solo dopo un controllo finale e la valutazione di un’apposita commissione, cui seguiva un altro periodo di prova nel corso del quale il pilota volava con le funzioni di comandante, senza, tuttavia, esserlo ancora a pieno titolo perché l’assegnazione della qualifica sarebbe avvenuta solo al termine di questo complesso tirocinio. L’ipotesi di una “bocciatura” era di fatto abbastanza rara perché la rigorosità della trafila e l’elevato numero dei “filtri” non lasciavano spazio, allora come oggi, a una mediocre preparazione professionale.
Il nostro corso tecnico sul Convair 340 fu condotto con sistemi che possono apparire artigianali al confronto con quelli attuali. I simulatori di volo purtroppo non erano ancora disponibili e pertanto le lezioni di tecnica potevano trovare sull’aeroplano solo parziali riscontri.
Le doti di pilotaggio del bimotore americano furono sorprendenti. Le caratteristiche di decollo, in particolare, mi apparvero eccezionali rispetto a quelle dei quadrimotori precedenti. Appena staccate le ruote dalla pista il CV-340 saliva con un rateo iniziale molto simile a quello degli odierni aviogetti di linea e ciò poteva costituire un fattore di sicurezza nella cadenza dei decolli in un aeroporto con molto traffico.
In compenso, però, il Convair 340 non aveva l’autopilota.
Appena ricevute le funzioni di comando, fui assegnato a quelle linee che venivano considerate – a torto, secondo me – le più facili, e cioè a quelle del Mediterraneo meridionale, dove c’era meno traffico e le condizioni meteorologiche statisticamente migliori, favorivano le manovre di atterraggio. Che questa regola lasciasse il tempo che trovava mi fu confermato proprio in occasione del mio primo volo come comandante, che avvenne sulla linea serale Roma-Catania-Tripoli. Ricordo che in partenza dall’aeroporto siciliano le previsioni del tempo indicavano vento forte con sollevamento di sabbia a Tripoli e una moltitudine di temporali con vento al traverso superiore ai limiti consentiti sullo scalo alternato di Malta. In aggiunta a ciò l’aeroporto di Catania avrebbe terminato il servizio mezz’ora dopo la partenza.
Decisi di decollare egualmente, ma alla condizione che l’aeroporto di Fontanarossa rimanesse aperto fino al momento della conferma del mio atterraggio a Tripoli, per garantirmi almeno un posto dove riparare qualora, una volta in volo, il tempo fosse ulteriormente peggiorato. Atterrai regolarmente a Tripoli, dove trovai condizioni di suspended sand dust, letteralmente polvere di sabbia in sospensione. Ancora mi chiedo se non sarebbe stato meglio, come primo viaggio, andare a Londra, dove esistevano un affidabile impianto di avvicinamento strumentale ILS e una superba assistenza radar, anziché volare in Libia, dove ci si doveva affidare a un avvicinamento del tipo NDB (non di precisione), in condizioni di scarsa visibilità a causa della sabbia sollevata dal vento. Per inciso, quest’ultima situazione meteo-ambientale è una delle più pericolose: sorvolando la pista se ne intravedono perfettamente le luci di soglia e le catenarie laterali, ma una volta in dirittura di atterraggio ci si ritrova con una visibilità orizzontale ridotta a valori talvolta incredibilmente bassi.
Il Convair 340 aveva una cabina che ospitava 44 passeggeri in classe unica ed era propulso da due motori Pratt & Whitney R 2800 da 2.500 cavalli ciascuno. La velocità massima dell’aereo era di 480 chilometri all’ora, mentre quella al regime di best economy cruise (crociera economica) era di 465 chilometri all’ora. L’autonomia con il massimo del carburante imbarcato era di 3.100 chilometri, che si riducevano a 460 in condizioni di massimo carico pagante.
Il 340 era dotato di un sistema antighiaccio ad aria calda, che interessava i bordi d’attacco delle superfici alari e dei piani fissi di coda. L’impianto funzionava prelevando aria calda dai gas di scarico dei motori. Come avvertiva il manuale d’impiego, quello del CV-340 era un dispositivo anti-icing e non del tipo de-icing. Questa differenza significava che era necessario prevenire per tempo il fenomeno senza aspettare la formazione del ghiaccio. Nel caso di una stratificazione, l’operazione di sghiacciamento era assai difficile perché per ottenere aria calda bisognava elevare adeguatamente la temperatura dei motori, cosa che determinava però anche un calo della potenza erogata. Era come dormire con una coperta troppo corta: bisognava scegliere se tenere le spalle al caldo e i piedi al freddo, o viceversa.
I motori del CV-340, che differivano da quelli del DC-6B per la carenatura delle prese d’aria, se non venivano preventivamente riscaldati, potevano “piantare secchi” all’ingresso in una nube. Questo fenomeno era talmente ricorrente che per evitarlo l’azienda costruttrice aveva installato a bordo del velivolo un interruttore chiamato primer, azionando il quale si inviava al motore fermo un cicchetto che consentiva di riavviarlo facendolo girare inizialmente a 500 giri per poi riportarlo al regime richiesto via via che il ghiaccio veniva eliminato. L’arresto in volo di entrambi i motori accadde in un paio di casi, ma tutto si risolse per il meglio proprio grazie al primer.
II riscaldamento antighiaccio dei motori era affidato alle vanes, specie di flabelli che ostacolavano l’uscita dell’aria di raffreddamento dai condotti determinando in tal modo un aumento della temperatura dei propulsori. Ricordo al proposito alcuni voli notturni sulle Alpi a quote prossime a quella di tangenza massima, che nel CV-340 era poco più di 24.000 piedi (circa 7.300 m), con le semiali cariche di ghiaccio, la velocità ridotta alla minima operativa, e le testate dei cilindri portate a una temperatura tale che si era attivato l’avvisatore di incendio dei motori. Poiché i problemi non vengono mai da soli, accadde più di una volta che si presentassero contemporaneamente anche difficoltà nella navigazione, dovute a venti così forti da determinare incredibili angoli di deriva di 30 e più gradi. In condizioni di ghiaccio severo come quelle che d’inverno incontravamo anche a bassa quota e d’estate sorvolando le Alpi a 19-20.000 piedi, sul Convair applicammo il gioco del compromesso della coperta troppo corta, senza tuttavia dover mai rinunciare alla sicurezza del volo che, anzi, con il 340 aveva raggiunto livelli apprezzabili.
Il periodo trascorso su questo velivolo arricchì molto la mia esperienza professionale perché si era sempre alle prese con problemi di ogni genere, da quelli di ordine meteorologico a quelli dovuti ai motori a pistoni, per non parlare di quelli relativi alla navigazione che veniva condotta senza l’ausilio dell’autopilota da un equipaggio composto da due soli piloti. Ciò che allora imparammo soprattutto in materia di ghiaccio oggi rientra nei programmi di istruzione basilare impartita dalle compagnie aeree.
L’esperienza diretta ci insegnò che in condizioni favorevoli alla formazione di ghiaccio bisognava prevenire il fenomeno applicando le seguenti procedure: inserire il comando di aria calda ai motori, inserire il riscaldamento elettrico alle eliche, azionare subito il sistema antighiaccio se questo è ad aria calda; se invece rimpianto fosse del tipo pneumatico “Goodrich” prima di azionarlo attendere che il ghiaccio abbia assunto la consistenza di uno strato sottile; se, nonostante tutto, lo spessore dovesse aumentare, allora bisogna attendersi una riduzione della potenza e della velocità ed è necessario rimediarvi al più presto per prevenire il rischio di scuotimento per buffeting in prossimità dello stallo.
Quando si decollava, soprattutto d’inverno, in condizioni di buona visibilità ma con stratificazioni nuvolose basse, si poteva prevedere che in pochi minuti ci si sarebbe trovati in condizioni di volo strumentale. Fu proprio l’esperienza maturata sul CV-340 a insegnarci tante piccole attenzioni, quali il paragone del punto di rugiada con la temperatura sull’aeroporto di destinazione per valutare la possibilità di nebbia quando i due valori si avvicinano.
Dopo le rotte del Sud Atlantico con il Convair 340 ritornammo a Londra e a Parigi, dove già eravamo stati con lo SM.9% e il DC-4, riprendemmo la linea per Nizza e Ginevra, da tempo abbandonata, e inaugurammo il collegamento per Francoforte. Quello che oggi è il maggiore aeroporto tedesco, e a ragione viene considerato tra i migliori in Europa, allora era costituito da una pista e da qualche caseggiato con pochi uffici. Poiché in Germania perdurava lo stato di occupazione postbellica, il controllo del traffico era in mano ai militari americani. L’operatore del Departure Control – quasi sempre una donna – si esprimeva con accento e pronuncia tipicamente yankee e parlava per radio così velocemente che spesso a noi i messaggi risultavano incomprensibili. Le clearance, cioè le autorizzazioni, non erano sintetizzate ma venivano lette per esteso e quando il controllore chiedeva al pilota di ripeterle per assicurarsi che non vi fossero errori di comprensione, per tutta risposta gli equipaggi a loro volta domandavano all’operatore di ripetere tutto daccapo. A seguito di numerosi malintesi fu indetta una riunione degli utenti presso il Comando americano, a cui partecipai insieme al capo servizio navigazione dell’Alitalia. In quella sede, manco a dirlo, chi si lamentò più di tutti per la cattiva pronuncia dei controllori fu il rappresentante inglese.
A parte questi inconvenienti, gli organi di controllo di Francoforte funzionavano in modo eccellente. Me ne resi conto una sera in cui, avvolti da una bufera, c’erano quaranta velivoli con i motori in moto ad attendere sulla bretella di rullaggio il loro turno di decollo. Il nostro CV-340 era il numero trentasei e temevo fortemente che l’attesa compromettesse la riserva di carburante dell’aereo, ma con una raffica di interventi, autorizzazioni e comunicazioni, tanto rapidi quanto efficaci, in pochi minuti tutto fu sistemato.
L’attività trascorsa sul “Tre e quaranta” rappresentò una parentesi di circa due anni tra i periodi del DC-6B e del DC-7C, durante la quale, tuttavia, si verificò per me l’avvenimento più importante per ogni pilota di linea: la nomina a comandante. La frequenza degli impieghi e il ripetersi di tratte e avvicinamenti strumentali di precisione condotti tutti manualmente (non avevamo autopilota, né ILS automatici) fecero di noi giovani comandanti di allora degli autentici “virtuosi”, come se fossimo stati solisti in un’orchestra. I nostri “minimi” per l’ILS erano, trent’anni fa – dove consentito – pari a quelli odierni di seconda categoria.
Quel periodo così vivo maturò in me un senso di sicurezza che mi seguì, senza più abbandonarmi, ai comandi del DC-6B e DC-7C e, anni dopo, sul quadrigetto DC-8 e sul più grande B747, per accompagnarmi in una lunga scia di ricordi indelebili.
Corrado Schreiber
Pubblicato originariamente nel mensile aeronautico Volare
Convair CV-340
Equipaggio: 3
Passeggeri: 52
Motori: 2 x Pratt & Whitney R-2800-CA18 Double Wasp da 2100 CV
Velocità massima: 483 km/h
Autonomia: 1932 km
Peso a vuoto: 15.111 kg
Apertura alare: 32,12 m
Lunghezza: 24,84 m
Consegna primo CV-340 ad Alitalia: 5 maggio 1953
Dismissione ultimo CV-340 da Alitalia: 13 settembre 1962
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